TAPPETI E KILIM
Egizi, Maya e Cinesi
sono i probabili primi annodatori di tappeti nell'antichità.
L'origine del tappeto deriva dall'esigenza dei
popoli nomadi di proteggersi dal freddo, ricoprendo
il suolo delle tende con un manufatto più funzionale
perché più soffice e caldo della semplice pelle
degli animali.
Una lenta e progressiva evoluzione lo trasformò,
nei millenni e con l'urbanizzazione, in una opera
d'arte.
La scoperta di un tappeto nella valle di Pazyryk,
sui Monti Altay, protetto da una lastra
di ghiaccio, ha dimostrato che già oltre venticinque
secoli or sono la lavorazione del tappeto raggiunse
vertici artistici molto elevati. Si tratta di
un oggetto conservatosi nella sala secondaria
di un Kurgan saccheggiato subito dopo la
morte del capo scita a cui apparteneva.
La cornice principale rappresenta cavalli montati
disposti in file di sette, poiché gli Sciti usavano
inumare per ogni capo morto sette o un multiplo
di sette cavalli.
Secondo la descrizione di Erodoto si tratta
di un popolo essenzialmente cavaliere.
Più a occidente, in Mesopotamia, il tappeto
raggiunse il suo periodo aulico durante il regno
di Nabucodonosor II (605-562 a.C.), ultimo
grande sovrano di Babilonia prima dell'invasione
persiana da parte di Ciro nel 539 a. C.
A Ninive fu rinvenuto un pavimento assiro
risalente al X sec. a.C. la cui decorazione deriva
chiaramente dai motivi di un tappeto.
Erodoto descrive la lavorazione dei tappeti in
Egitto precisando che, contrariamente a quanto
avveniva altrove, là erano gli uomini ad attendere
alla lavorazione del tappeto.
Senofonte cita il grande valore dei tappeti
medio-orientali sia nell'Anabasi che nella
Ciropedia.
Ateneo descrive i tappeti di Sardi,
la capitale della Lidia conquistata da Ciro nel
546 a.C.
Eschilo, nell'Agamennone, fa distendere
al suolo da Clitemnestra preziosi tappeti
per accogliere lo sposo vincitore, e Agamennone
esita prima di calpestarli dicendo che era esclusivo
privilegio degli dèi.
Ma l'epicentro dell'artiginato del tappeto è per
tradizione la Persia.
Gli altri centri di artigianato della cui esistenza
abbiamo prove concrete dal medioevo sono manifestazioni
artistiche isolate oppure legate alla storia dei
regni persiani: del primo gruppo fanno parte i
tappeti caucasici, come quelli armeni, del secondo
i tappeti del periodo aulico turco provenienti
dalle manifatture di Konya, capitale dei
Selgiuchidi.
La civiltà achemenide all'epoca delle conquiste
di Ciro era ancora agli albori: il Grande Re vietò
il saccheggio di Sardi e Babilonia, e probabilmente
fu lui a introdurre in Persia l'arte del tappeto.
Sembra che la tomba di Ciro, morto nel 528 a.C.
e sepolto a Pasargada, fosse ricoperta
di tappeti preziosi.
Tra il bottino degli arabi che conquistarono Ctesifonte,
capitale della Dinastia Sasanide, nel 636 sono
citati molti tappeti tra i quali il celebre "Bahar-i-Cosroe",
passato alla storia come il più prezioso di tutti
i tempi.
Cosroe I, durante il regno del quale il
tappeto fu realizzato, passo alla storia con il
nome di Nuseirvan, l'immortale.
Il Bahar formava un quadrato di 25 metri
per lato. Purtroppo fu tagliato in molte parti
vendute separatamente, ed è difficile sapere se
si trattasse di un vero tappeto annodato o di
un arazzo ricamato.
Durante il dominio turco selgiuchide in Persia,
tra il 1037 e il 1194 si diffuse il nodo turco,
partendo dalle provincie di Azerbaigian
e di Hamadan.
Dopo l'invasione mongola di Gengis Khan,
il primo sovrano a convertirsi all'Islam, l'Il
Khanì Ghazal Khan (1295-1304) viveva in un
palazzo di Tabriz dai pavimenti ricoperti
di tappeti, come i successori di Tamerlano
nel Khorassan, tra i quali si distingue
Shah Rokh (1409-1446), che diede grande
impulso all'artigianato. I tappeti di questo periodo
erano decorati con motivi semplici, di tipo geometrico.
Nel 1499 Shah Ismail I scaccia la tribù
dei Montoni Bianchi e fonda la dinastia
dei Safavidi, riconquistando tutta la Persia.
Durante il lungo regno del figlio, Shah Tahmasp,
furono annodati i più bei tappeti di questo periodo,
le cui migliori provenienze sono Kashan
e Hamadan.
Attraverso le relazioni commerciali e diplomatiche
il tappeto persiano penetrò in Europa acquistando
grande notorietà in pochi anni (v. Museo Poldi
Pezzoli).
Shah Abbas nel 1590 sposta la capitale
a Isfahan e crea una manifattura di corte,
dove gli artisti annodano su fili di seta, d'argento
e d'oro.
Con l'invasione afghana di Nadir Shah (1736)
termina il periodo aulicodella storia del tappeto,
il cui artigianato rifiorisce solo durante l'ultimo
quarto del XIX secolo, per merito dei mercanti
di Tabriz che esportano in Europa attraverso Istanbul.
Dopo il crollo dei Kdjar e la fondazione
della breve Dinastia Pahlevi, nel 1925,
Shah Reza diede grande impulso all'artigianato
del tappeto, fondando le imperiali manifatture.
Tappeti Holbein: Decorazione caratteristica
dei tappeti del tre-quattrocento, tappeti del
genere figurano nel dipinto "Gli Ambasciatori
Francesi" di Hans Holbein il Giovane,
"La Vergine con il Bambino" del Ghirlandaio
e nell' "Elemosina di S. Antonio" di Lorenzo
Lotto.
Tappeto Turco-Egizio: Proviene dalla manifattura
sultaniale di Costantinopoli ed è conservato a
Vienna, all'Osterreichisches Museum.
Nodo: Farsibaft
Dimensioni: cm. 540 X 290
Densità: 3100 nodi per decimetro quadrato
Ordito: seta gialla
Vello: seta
Trama: lana rossa
Colori: 12, tra cui rosso, verde, blu e
giallo per il fondo; verdi, blu, marrone, giallo,
nero, e bianco per la decorazione. La differente
intensità di luce trasforma le tonalità cromatiche.
Lo stato di conservazione è complessivamente buono.
Caratteristica peculiare di ogni tappeto orientale
è l'annodatura a mano.
Il tessuto è composto da tre parti: ORDITO;
VELLO e TRAMA.
Il primo è l'insieme di fili, normalmente di cotone,
paralleli tra loro e disposti verticalmente tra
le due estremità del telaio.
Il vello è la superficie visibile del tappeto,
formata da corti fili, generalmente in lana, annodati
sull'ordito.
I nodi sono allineati in righe nel senso della
larghezza del tappeto, mai della lunghezza.
La trama consiste in uno o più fili, quasi sempre
di cotone, disposti tra una riga di nodi e la
successiva.
I telai si possono dividere in quattro tipi: orizzontale,
verticale fisso, verticale
tipo Tabriz e verticale con subbi rotanti.
Il più primitivo è quello orizzontale, Usato dai
nomadi, è composto da due travi di legno tra cui
sono tesi longitudinalmente i fili dell'ordito.
Una evoluzione del telaio verticale fisso, usato
nei villaggi, è il telaio di Tabriz, diffuso nei
gandi centri di produzione soprattutto persiani,
dove i fili dell'ordito scorrono dal subbio superiore
a quello inferiore, passano sotto a quest'ultimo
e ritornano al subbio superiore.
Così si formano due piani paralleli di ordito,
uno anteriore e uno posteriore.
Nel telaio a subbi rotanti il filo di ordito necessario
alla lavorazione è arrotolato al subbio superiore,
mentre su quello inferiore viene arrotolata la
parte di tappeto man mano annodata.
Con questo tipo di telaio è possibile eseguire
tappeti di qualsiasi lunghezza.
Coltello, pettine e forbici
sono gli attrezzi utilizzati.
Con il primo si tagliano i fili del nodo, con
il pettine metallico si serrano i fili della trama
contro un allineamento di nodi. Le forbici, piatte
e larghe, servono a rasare il vello.
Le materie prime usate per l'annodatura sono:
lana, seta e cotone.
La lana è ovina, raramente caprina, spesso di
cammello, usata per lo più nel suo colore naturale.
Il kurk diffuso in Khorassan, è
la lana che si ottiene pettinando d'inverno il
vello di pecora, tosandola a primavera.
Molto diffuse nella produzione nomade sono le
qualità Lori e Kurd, mentre nelle
attuali produzioni di Qum e Nain viene utilizzata
la seta insieme alla lana per dare maggior risalto
alla decorazione.
Kashan è il centro più noto per la lavorazione
del vello totalmente in seta, estremamente raffinata.
Il cotone è utilizzato per il vello in rari casi,
per esempio nei tappeti turchi di Kaiseri.
Nei tappeti antichi, generalmente trama e ordito
sono in lana, o in seta, negli esemplari annodati
con questo materiale. Potevano essere utilizzati
fili d'argento o d'argento dorato.
L'uso del cotone permette di evitare le caratteristiche
ondulazioni degli esemplari completamente in lana
e una maggior aderenza al pavimento.
La tintura è una operazione molto delicata;
è preceduta da un bagno di allume, che agisce
da mordente.
Il filato viene poi immerso nel bagno di tintura,
dove rimane a seconda dei colori da poche ore
a qualche giorno, prima d'esser messo ad asciugare
al sole.
Prima del 1856, con la scoperta dell'anilina,
i coloranti erano esclusivamente naturali, quasi
tutti vegetali.
Faceva eccezione il rosso ricavato dalla cocciniglia,
un insetto caratteristico dell'India.
Il rosso poteva però ricavarsi dalla radice
della robbia, un arbusto spontaneo, mentre il
rosa e il bruno potevano risultare aggiungendo
del siero di bue.
Il blu proviene dalla pianta dell'indaco,
mentre la colorazione bluastra più vicina al nero
si otteneva dalle incrostazioni dello stesso dopo
la fermentazione nei tini.
Il giallo si ricava dalle foglie di vite,
dal croco o dallo zafferano.
Il verde si ottiene mescolando giallo e
azzurro, proveniente dal solfato di rame.
Il nero si ottiene dal colore naturale
della lana, o tingendo lana grezza con l'ossido
di ferro contenuto nelle galle di quercia, che
però rende fragile il vello, come il solfato di
rame.
Grigi e marroni derivano dalla lana
naturale o dal mallo di noce.
Anche la durezza dell'acqua influisce, quella
di Tabriz, per esempio, conferisce alla lana una
certa opacità.
Il governo persiano intervenne in passato contro
l'uso delle aniline, le cui tinte mal si accordavano
tra loro e tendevano a scolorire.
Oggi, mentre i nomadi tendono a usare le tinte
naturali, nei grandi laboratori urbani vengono
facilmente usati i colori al cromo e il "lavaggio
riducente" che rende i colori più tenui e amalgamati.
Le incostanze nella colorazione vengono denominate
abrash, e non sono necessariamente un difetto
del tappeto.
Possono invece essere la prova che il tappeto
è stato colorato con tinte naturali.
I nodi sono di due tipi: ghiordes
o turkibaft e senneh o farsibaft.
Curiosamente però, nella cittadina persiana di
Senneh i tappeti sono annodati col nodo
turco.
Se si piega il vello e si osserva una riga di
nodi si può notare che se i due capi finali escono
dal collo del nodo si tratta di turkibaft, mentre
nel nodo farsi un capo esce dal collo e l'altro
si trova al suo lato.
Le frange del tappeto sono le estremità dei fili
dell'ordito.
La fabbricazione comincia sempre dal lato inferiore,
con la cimossa, che è priva di nodi.
Un buon operaio fa da dieci a quattordici mila
nodi al giorno.
L'artigiano recide il filo a circa sette centimetri
da ogni nodo e tira il capo reciso verso il basso,
imprimendo al nodo una inclinazione che non solo
lo serra, ma determina il verso del tappeto.
Ogni quattro-sei file di nodi si esegue una rasatura
provvisoria del vello, mentre dopo il completamento
di ogni fila di nodi il tessitore fa passare il
filo della trama all'interno e all'esterno di
ogni filo dell'ordito.
I nomadi tendono a tenere alta la rasatura finale
del vello.
Dopo il lavaggio finale, che toglie rigidità al
tappeto, questo viene steso ad asciugare al sole.
Normalmente un tappeto di grande formato si dice
in persiano ghalì (da 190 x 280 ).
Dozar o sedjadé indicano le misure
inferiori, approssimativamente 130-140 x 200-210.
Questi ultimi sono ghatilché se di qualità
molto fine.
Kelleghì e kenareh sono i formati
allungati, dove la lunghezza è di solito il doppio
o il triplo della larghezza.
Zaronim sono i tappeti di 100-110 x 150-160,
mentre pushti o yastik in turco indicano i 60
x 90 e significano cuscino.
Disegni: Possono essere geometrici o curvilinei
(floreali). I primi sono espressione di un gusto,
i secondi di un'arte. I primi di una tribù, i
secondi sono opere d'arte islamica.
Motivi di campo: boteh, disegno a mandorla
o kashmir normalmente di piccole dimensioni,
si ritrova nelle provenienze Serebend,
Mir, Kirman, Kashan, Senneh
e Qum, oltre che nelle caucasiche Shirvan
e Derbent.
Gul, significa fiore e si ritrova in quasi
tutti i Turkestan. E il noto disegno a
forma ottagonale che decora tutti i Bukhara.
Herati: il motivo più ricorrente, malgrado
molteplici varietà e applicazioni: una rosetta
centrale racchiusa da un rombo. Altre due rosette
a ogni vertice del rombo, mentre ai lati quattro
foglie allungate ricordano pesci (mahi).
Nei tappeti del Khorassan, di cui Herat
è il capoluogo, manca il rombo.
Provenienze: Tabriz, Ferahan, Bijar,
Saruk, Caucaso.
Joshaghan: susseguirsi di rombidecorati
con fiori stilizzati. Presente anche nei Kashan.
Kharshiang: significa granchio, è uno dei
motivi Shah Abbasi. Presente nei Shirvan.
Minah Khanì: ricorda un campo fiorito,
quattro fiori a rombo con un fiore più piccolo
all'interno; forse originario del Khorassan
, si ritrova nei Baluch di Firdaus
e Turbat-I-Haidari.
Si ritrova nei Veramin.
Zil-I-Sultan: di origine recente, composto
da due vasi disposti uno sopra l'altro, decorati
con rose e rami fioriti.
Si ritrova nei Teheran, Ferrahan
e Malayer del XIX secolo. Tra un ramo e
l'altro vi sono spesso uccelli. Oggi è presente
nei Qum, Abadeh e Veramin.
Shah Abbasi: decorazioni ispirate al giglio,
isolate, ma collegate con rami e viticci; molto
frequenti negli Isfahan.
Motivi di bordura: Herati (di ispirazione
Shah Abbasi), tipici dei Kashan;
boteh (Kashan, Kurdistan);
bordura cufica (Caucaso, sempre
in bianco); bordura a foglia dentata (Kazak).
Talvolta nelle iscrizioni vi sono versi del Corano,
dediche e poesie. Le date sono espresse secondo
il calendario dell'Egira. Per trasformare l'anno
islamico in anno gregoriano, occorre sottrarre
dall'anno dell'Egira un trentatreesimo di sé stesso
e aggiungere il 622.
Anche le cornici secondarie hanno motivi tipici,
come piccoli rombi in tinte differenti (Shiraz,
Ferrahan, Caucaso).
Rosette tra cui passa a festone un ramo fiorito
si ritrovano nei Kashan e nei Kazak.
Talvolta si hanno un rombo e un triangolo con
un vertice in comune.
Altri motivi di decorazione del campo e della
bordura sono la stella a otto punte (Caucaso,
Pergamo), la rosetta, le greche, tra cui
quella uncinata ("cane che corre") e la svastica
(Turkestan).
Zone di provenienza: Anatolia, Caucaso,
Persia, Turkestan e Afghanistan,
Estremo oriente (Cina, Tibet
e Subcontinente Indiano), Nord Africa.
I Kilim, caratteristici tappeti privi di
vello, non annodati, ma ricamati, provengono davarie
località dell'Anatolia, della Persia
(particolarmente da Senneh) e del Nord
Africa.
La lavorazione è simile a quella dei Sumak,
da cui si differenzia, tuttavia, per la mancanza
dei fili di struttura nella trama.
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